„Zlocini“, crimini. Tre libri uniti in un’unica edizione, pubblicata da Sensibili alle foglie: „Cuore di lupo/Vucje srce“, „Il paesaggio dell’anima/Predeo dushe“ di Marilina Rachel Veca e „Srpsko srce Johan/Il cuore serbo di Johan“ di Veselin Dzeletovic.
Presto le presentazioni in tutt’Italia.
E a Roma. L’8 febbraio ore 18 presso il Caffè Cambridge V.le Regina Margherita 69 (P. Quadrata)
Presentazione di Marilina Veca – Zlocini- Edizione Sensibili alle foglie
Storie narrate per non dimenticare, per non morire soffocati da una memoria pesante come piombo dove si sovrappongono incubi e ricordi, volti e maschere, strade che non portano da nessuna parte e rotaie abbandonate, miniere soffocanti e laghi che odorano di morte. Un paesaggio della memoria e dell’anima, irreale eppure quanto reale! Lo smembramento dei corpi dei serbi rapiti e scomparsi nel nulla è divenuta lacerante metafora dello smembramento di un progetto, di una realtà politica, quella della Jugoslavija prima e della Serbia poi. In Kosovo si è realizzato una sorta di laboratorio della menzogna mediatica, una guerra di parole prima ancora che di armi: i serbi sono stati vittima di una manipolazione dell’opinione pubblica internazionale e l’intervento della NATO nel 1999 ha avuto come effetto (oltre ai morti civili, agli invalidi, alla contaminazione radioattiva del territorio) quello di realizzare la pulizia etnica dei serbi e delle altre minoranze non albanesi creando le condizioni per la nascita di una nuova entità monoetnica all’interno degli esistenti confini della Serbia, con il silenzio/assenso della cosiddetta “comunità internazionale” che hanno consentito che un’organizzazione terroristica, l’UCK, si trasformasse nel cosiddetto “Esercito per la liberazione del Kosovo” (UCK o KLA), presumibilmente formato con l’ausilio dei servizi tedeschi di intelligence (BND Bundesnachrichtendienst) e di forze militari speciali. L’UCK, fin dal suo apparire, si è posto come strumento di un complessivo disegno globale di controllo sui Balcani, finanziato verosimilmente da soldi di traffici illeciti, primo fra tutti il commercio della droga. Quando iniziò a formarsi l’UCK, a capo del BND si trovava Hanjorg Geider. Una delle sue prime decisioni era stata quella di stabilire un centro per i suoi servizi clandestini a Tirana. Agenti del BND per qualche tempo agirono di concerto con gli operatori dello SHIK il servizio segreto albanese, succeduto a Sigurimi, il servizio segreto comunista dei tempi di Enver Hodza. Allo stesso tempo gli uffici del BND a Roma hanno avuto funzione di intelligence e supporto agli estremisti albanesi rifugiati a Trieste e a Bari. La direzione di BND da parte di Geiger rappresentò fin dal 1996 l’apertura al supporto logistico e addestramento dell’UCK. Le attività occulte del BND erano coerenti con l’intento di Bonn di espandere il proprio Lebensraum, spazio vitale, nei Balcani. Prima dell’inizio della guerra civile in Bosnia, la Germania e il suo ministro degli Esteri Hans Dietrich Genscher avevano attivamente sostenuto la secessione dalla Jugoslavija e fatto pressione sugli alleati occidentali per l’immediato riconoscimento di Slovenia e Croazia. Addestrati a Smirne, in Turchia, e poi in Bosnia, gli uomini dell’UCK hanno avuto il probabile supporto del comitato militare della NATO, divenendo fondamentali per la destabilizzazione della Jugoslavija e per la diffusione delle menzogne mediatiche sulla guerra del Kosovo. Ibrahim Kelmendi, esponente di spicco dell’estremismo albanese, controllava ad inizio guerra una sorta di “fondo monetario” in cui confluivano tutte le donazioni fatte per la diaspora albanese, con somme che si aggiravano sul milione di dollari al mese. La fondamentale rottura con il diritto internazionale (anche da parte dell’Italia che con il governo D’Alema partecipò attivamente ai bombardamenti contro la Serbia) avvenne proprio con i bombardamenti NATO su Belgrado, chiamati dalla maggioranza dei media del mondo, con una tipica operazione di ‘cosmesi linguistica’ “missione umanitaria. I legami tra UCK e gruppi criminali in Albania, Turchia e Unione Europea, sono a conoscenza dei governi occidentali e dei servizi segreti fin dalla metà degli anni ’90.
Scrivere, raccontare, non dimenticare: perché? Perché non c’è pena adeguata per i crimini perpetrati contro il popolo serbo e per le menzogne che ancora li circondano e li offuscano. Già riconoscere quello che è accaduto sarebbe molto. Come dissero i serbi che assistettero all’inizio del Settecento alla morte per impalamento da parte degli albanesi del serbo Ognjen Recanin di Pec, “che si sappia”. Che almeno si sappia cosa è accaduto e sta ancora accadendo in Kosovo. Finché abbiamo a chi raccontare le nostre pene e le nostre sofferenze, c’è ancora speranza per noi: così mi disse un giorno a Vitina, una enclave nel sud del Kosmet, il prete ortodosso Dragan.
Non so se i serbi avranno la capacità di sopravvivere a tutto questo: so che è importante raccontare le loro storie, quella di padre Dragan, che l’UCK ha tentato di uccidere e che è rimasto al suo posto, nella chiesa di Partesh e che mi ha detto: “Ti invidio non per quello che hai ma per quello che puoi dare: dare è più bello che ricevere”. E la storia di Pavle, preside di scuola a Uroshevac, uscito un giorno di casa per andare a scuola a ritirare le sue cose, i suoi libri, dopo che, per la colpa di essere serbo, era stato licenziato: accompagnato dalla scorta di soldati polacchi, entrato nella scuola, non ne è mai più uscito. Missing. Scomparso. Verosimilmente utilizzato per espianto di organi. E la storia di Ljubisha Petrovic, direttore della piccola scuola di Cernica, un’enclave pericolosa e invivibile. Davanti alla scuola l’UCK gli ha ucciso il figlio di 4 anni. Ljubisha dice che se anche tutti i serbi dovessero andar via dal Kosovo, lui rimarrà, fosse anche l’ultimo serbo rimasto.
Marilina Veca